Draghi americano a Roma

Draghi non è più il Super Mario dei primi mesi. Il potere ha logorato lui, come altri primi ministri prima di lui, e non sembra, invece, che lui abbia logorato altri, se non resistendo alle insidie quotidiane degli “alleati” di governo e dell’opposizione.
Anche quella di una parte del paese, che non apprezza il suo eccesso di atlantismo (qualcuno dice dipendenza dagli Stati Uniti). Come se fosse una novità in Italia. Calamandrei, padre costituente, si lamentava di questo negli anni 50, ma ovviamente era rassegnato. Non si perdono le guerre aggratis.
Noi non abbiamo apprezzato gli incensamenti dei primi tempi. Infatti, non veniamo nemmeno invitati alle conferenze di Palazzo Chigi. Non condividiamo, però, le critiche strumentali che si sono riversate su di lui, preparato ad affrontare il covid, meno la guerra. Non sono Biden e Putin presidenti di guerra (come si vede dal casino che nei rispettivi ruoli stanno combinando), non lo è nemmeno Draghi.
Piuttosto, sappiamo poco del Draghi pensiero, che certamente esiste. E che si è forgiato nei conflitti, non armati, del Tesoro, di Banca d’Italia e della Bce. Non scherziamo.
Draghi ha la pelle dura, sa colpire e certamente sa anche incassare, perché non tutte le battaglie si possono vincere. Non sappiamo, però, quello che vuole. Adesso, dopo la mancata elezione alla presidenza della repubblica che era nelle sue corde.
Sembra riduttivo che voglia essere “assunto” alla Nato, sia pure nella funzione di segretario. Si aggiungerebbe alla schiera di tanti ex segretari inadeguati, che hanno ridotto l’alleanza a encefalogramma piatto, per stare nella felice espressione di Macron. E quindi? Vedremo. E’ comunque escluso che Draghi voglia fare l’americano a Roma, nel Palazzo della politica. Agli italiani basta Alberto Sordi.