Quale politica estera per l’Italia

Una pagina del programma di Governo (quale che sia) dovrà essere dedicata alla politica estera. E’ una relativa novità, perché, nel dopoguerra, il documento di politica estera per l’Italia, così come per gli altri Paesi usciti dal conflitto, è stato il Trattato di Parigi del 1947. La politica estera italiana, da allora, si è sostanzialmente esaurita nel rispetto dell’Alleanza Atlantica (dominata dagli Stati Uniti) e nella partecipazione al Progetto Comunitario (in origine molto equilibrato, ora dominato da Francia e Germania e dall’anima finanziaria), salvo alcune incursioni tattiche nei rapporti bilaterali mediterranei (osservate e talvolta osteggiate dal Regno Unito).
La pagina di programma, destinata ad informare i rapporti con l’estero, in teoria nei prossimi 5 anni, non potrà esimersi dalla conferma della adesione alla politica estera precedente, ma potrebbe presentare il germe di un “distinguo” rispetto ad altre alleanze, prettamente economiche. Lo scenario politico internazionale negli anni 2000 è completamente cambiato rispetto agli schieramenti del dopoguerra. Il crollo (altamente simbolico) del Muro di Berlino e la disgregazione (effettiva) dell’Unione Sovietica sono stati i principali fattori di cambiamento in Europa e nel mondo. La fine della Guerra Fredda (la Fine della Storia, nella interpretazione del politologo americano Francis Fukuyama, anno 1992, che merita di essere riesaminata nella chiave di lettura della storia più recente) ha comportato lo smantellamento di basi militari e, quindi, la cessazione degli investimenti indotti e la revisione dei bilanci nazionali, non solo americani, dedicati agli armamenti.
L’industria della guerra ovviamente non ha gradito. Ma Clinton e Bush (e, in minore misura, Obama) non avrebbero comunque potuto e voluto avviare un vero e proprio progetto di demilitarizzazione (proprio e altrui), perché è cambiata anche la capacità di controllo dei programmi nucleari di Stati ritenuti (soprattutto dagli Stati Uniti) potenzialmente pericolosi per la pace mondiale, che, pertanto, non può che essere armata. Corea del Nord e Iran sono soltanto la punta dell’iceberg della esigenza di controllo, perché altri Paesi hanno acquisito, nel tempo, la tecnologia nucleare, e le regole della deterrenza reciproca, che hanno funzionato egregiamente durante la Guerra Fredda (epico il confronto cubano tra Stati Uniti e Unione Sovietica nel 1962), sono inadatte al Nuovo Mondo Globale.
Non pensiamo alla Cina o all’India, due grandi Paesi che non hanno alcun interesse a interferire nelle regole della convivenza globale, per stabilire le premesse di uno stato di belligeranza, dovendo piuttosto dedicarsi alla soluzione di problemi interni giganteschi. Pensiamo, piuttosto, ad altre organizzazioni, non necessariamente statuali, dotate di autonomia relativa, che potrebbero decidere di giocare il tutto per tutto, a fronte di pericoli decisivi per la loro esistenza o di obiettivi, per loro strategici, ritenuti, magari erroneamente, raggiungibili con iniziative di guerra. In questo scenario si inserisce la pagina di politica estera del nuovo Governo.
Abbiamo dimostrato con una precedente inchiesta che i partiti, tutti, non hanno scritto finora documenti di politica estera. Durante la campagna elettorale le dichiarazioni dei segretari, nel merito dei Trattati vigenti, sono state variabili e comunque del tutto prive di focalizzazione sugli interessi nazionali meritevoli di protezione, nell’ambito delle azioni di politica estera. C’è stato un partito (+ Europa), improvvisato dalla Bonino, dedicato al sostegno di un più spedito processo di integrazione, osteggiato, al momento, dalla maggior parte degli Stati dell’Unione.
Ricordiamo che, allo stato, l’Unione Europea è priva di Costituzione, è dotata di organizzazione, ma non di strutture, e si regge sui Trattati. E che le sue politiche (economiche, finanziarie e migratorie) sono molto controverse tra gli Stati membri. Vale, pertanto, a fini integrativi, quasi di più ciò che non è scritto, rispetto a ciò che è scritto: tra cui, la consapevolezza diffusa che la sintonia economica, come risultato di una più equa distribuzione di impegni e benefici, è necessaria per sostenere la concorrenza dell’Est e dell’Ovest. In conclusione, ben venga la pagina di politica estera del nuovo Governo e che sia più circostanziata di quanto finora sia mai avvenuto.