Il volto meno nobile del lusso


Un’indagine della Guardia di Finanza nelle attività di produzione della pelletteria in Toscana ha costituito oggetto di un reportage del Gruppo Sole 24 Ore, che, all’argomento, ha dedicato un articolo di denuncia, a tutta pagina, nel giornale. Tema: “Il volto nascosto del lusso”. Protagonisti: caporali cinesi e manovalanza mista, cinese, africana, cingalese, bengalese.

L’articolo è interessante ed è ricco di dettagli, ma, in effetti, il fenomeno della produzione a basso costo dei prodotti del lusso è noto da sempre. Un tempo i terzisti erano italiani, sfruttati da altri italiani e da “investitori” esteri, a cui non sono mai sfuggite le anomalie e le debolezze del sistema produttivo italiano. Così, ora, sfruttatori sono direttamente i cinesi, che controllano vasti insediamenti produttivi e, almeno in parte, la catena del valore di importanti aziende del lusso.

I Baschi Verdi, nel corso dell’incursione in un capannone non lontano dal centro di Firenze, hanno rinvenuto borse di gran marca pronte per la consegna. Non sono noti i prezzi di vendita dei prodotti finiti alle grandi marche. Ma si possono stabilire rapporti in base a dati noti.

Le condizioni di vita dei manovali della produzione si sono rivelati al di sotto dei limiti della decenza, lavorativa, alimentare e abitativa. Perché il lavoro al bancone tocca punte di 14 ore e non consente distrazioni (si fa per dire!). A noi risultano direttamente i dati di produzione e di vendita di scarpe del lusso, delle primarie marche nazionali ed estere, prodotte in Italia.

Il rapporto è spesso di 1 a 6 o 7. 100 euro a scarpa, rispetto a 600 o 700 euro di vendita al pubblico. Il terzista riscuote 100, la grande marca vende a 600 o più. Viene alterata innaturalmente la catena del valore. I fattori cruciali della produzione sono i materiali, la capacità produttiva (intendendosi con ciò anche il know how), la logistica in entrata, soprattutto, perché quella in uscita è assicurata dal rapporto con la griffe. A cui è destinato il valore di gran lunga eccedente i parametri di Michael Porter e degli illustri economisti aziendali che si sono occupati di microeconomia negli ultimi 40 anni.

Le grandi marche, a cui sono destinate le belle borse, hanno preso subito le distanze dalle attività illecite, sotto vari profili, dei cinesi produttori. Secondo noi, con una certa dose di ipocrisia. Perché i conti parlano chiaro. D’altra parte, la produzione è affidata ai terzisti, una volta chiamati anche faconnier, perché, in casa, non sarebbe altrettanto utile.

Per questo le grandi griffe hanno fatturati miliardari e margini utili imbarazzanti. Perché sfruttano il lavoro degli altri, piccoli imprenditori in testa, con l’effetto graduale dell’uscita dal mercato degli italiani, che non possono, per motivi legali, competere con la concorrenza illecita. La disoccupazione aumenta, il prodotto interno lordo diminuisce. Ce ne siamo occupati in passato, lo faremo, a maggior ragione, in futuro.

 

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