30 anni di uranio impoverito, vittime ancora prive di riconoscimenti


Dopo quasi trent’anni dalla guerra in Bosnia, resa tristemente famosa in Italia per la questione dell’uranio impoverito, ancora le istituzioni non sono unanimi nella presa di una decisione che possa rendere merito al servizio prestato dalle nostre Forze Armate.

L’Italia ed i suoi soldati, però, non si sono confrontati con il tema uranio e malattie solo nei Balcani, ma anche in altri teatri operativi come nella Guerra del Golfo (da cui prende il nome la Sindrome della guerra del Golfo, disordine cronico e multi-sintomatico dovuto all’esposizione di agenti tossici), dove per la prima volta furono utilizzate queste tipologie di armi.

Ad oggi sono circa 400 le vittime italiane e diverse migliaia gli ammalati. Le malattie sono di ogni tipo ed in continua evoluzione, impattando anche la genetica, al punto che in alcuni casi i militari le hanno trasmesse anche ai loro figli.

Qualche settimana fa Papa Francesco ha ricevuto – in udienza privata – una delegazione dell’Associazione Nazionale Vittime Uranio Impoverito (Anvui) che riunisce tutte le famiglie di civili e militari, che trovandosi ad operare in teatri contaminati, sono deceduti o rimasti feriti permanentemente. Il presidente Anvui – Vincenzo Riccio – ha precisato, con l’occasione, che il dramma più grande è senz’altro «il dolore per i lutti e lo sconcerto per l’atteggiamento da parte dello Stato che continua a negare giustizia alle vittime».

Il problema, infatti, è che a distanza di così tanti decenni ancora non si sia deciso nulla in merito al riconoscimento delle invalidità derivanti dal diretto contatto con tali elementi radioattivi, lasciando nel limbo più assoluto le famiglie, anche se le Associazioni d’Arma sono da sempre attive e vicine ai reduci.

Tra le vittime anche il Generale Fernando Termentini, incontrato dal NuovoMille.it su questo tema.

Ufficiale di carriera tra i massi esperti europei in materia di esplosivi e sminamento, è stato impiegato in diversi teatri di combattimento (compresa la Guerra del Golfo e nei Balcani), ricoprendo incarichi di comando sul campo, agendo in prima persona nelle attività operative a diretto contatto con l’uranio impoverito.

Dopo 30 anni di battaglie legali e 24 interventi chirurgici di rimozione di masse tumorali – di cui l’ultimo a gennaio 2022 – la storia per il riconoscimento del rischio a cui è stato esposto il Gen. Termentini segue lo stesso iter che si registra per tutte le vittime: lentezza, rinvii processuali e senso di abbandono da parte dello Stato.

Infatti, il principio che guida questa lotta – di cui anche ANVUI è in prima linea – è che i soldati devono essere sempre resi consapevoli del rischio a cui vanno in contro, cosa che non avvenne per il Quwait e la Bosnia.

Purtroppo, è impossibile stabilire come evolverà questa storia (tra le pagine più buie e tristi italiane), ma l’attesa (che per molti sembra essere un’intenzione precisa) porta non solo alla lentezza ma anche alla possibilità concreta che molte persone vengano divorate dalle malattie lasciando intere famiglie senza giustizia. Ecco perché – anche se è stato ripetuto troppe volte – è davvero necessario che lo Stato agisca, senza lasciare indietro nessuno.

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